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A-dualismo advaita

 

“Quando si è sperimentato che Dio sta in tutto, che tutto sta in Dio e che tuttavia Dio non è nulla di ciò che è, allora si è vicini alla realizzazione, all’autentica esperienza advaita la quale, come ogni vera esperienza, non può essere comunicata o espressa mediante concetti” (Trinità ed esperienza religiosa dell’uomo, Assisi 1989).”

L’advaita è la dottrina indù della a-dualità di tutte le cose (a-dvaita, “non due”), ivi compreso il mondo e Dio stesso. Panikkar preferisce tradurre advaita con “a-dualità”: la Divinità “non è individualmente separata dal resto della realtà, non è completamente identica ad essa” come avviene nel dualismo e nel monismo. Non si può confondere advaita con il monismo, malgrado le affermazioni di alcuni commentatori occidentali e il fatto che questa opinione sia stata comune tra i teologi occidentali fino a tempi recenti e alcuni continuino a considerarla tale.
La dottrina advaita è ritenuta il culmine delle religioni e delle filosofie, in quanto esse introducono l’“esperienza suprema” della a-dualità, della non separabilità tra Se-stesso (atman) e Dio (brahman). La verità per l’advaita è arrivare a scoprire che “âtman (l’Io) è Brahman (l’Assoluto)” o quello che é lo stesso (“Tat tvam asi”= “Tu sei Questo o Quello”, l’Assoluto) senza smettere di essere diversi. Nell’advaita Dio e il mondo non sono giustapposti né l’uno è assorbito dall’altro, ma in relazione di reciprocità: l’Assoluto è al contempo trascendente e immanente. “La dimensione di trascendenza esclude l’identificazione monista mentre quella dell’immanenza impedisce l’identificazione dualista”, dice R.Panikkar.

“Dio non é né lo Stesso (monismo) né Lui o l’Altro (dualismo). Dio è un polo della Realtà, polo costitutivo; silenzioso e quindi ineffabile in sé, ma che parla in noi; trascendente, ma immanente nel mondo; infinito, però limitato nelle cose. Questo polo non è niente in se stesso. Non esiste se non nella sua polarità, nella sua relazione. Dio è relazione, relazione intima con tutto” (L’esperienza di Dio, Brescia 1998).

In questa concezione non vi è nulla che non sia sacro, né vi è nulla di assolutamente sacro, separato dal resto, tutto ha una dimensione sacra: “Il sacro è un aspetto di tutte le cose per il fatto stesso che le cose sono reali”.
E’ questo la concezione della divinità e del sacro che a RP sembra sia più chiaramente conforme al cristianesimo. Il concetto di advaita è fondamentale nel suo pensiero, in consonanza con l’altro suo concetto di ontonomia e nell’applicazione alla dinamica trinitaria, sia verso il divino interiore, sia verso tutta la realtà. “Advaita e ontonomia sono le due facce di una stessa moneta”. (Francis X. D’Sa).
Né dualismo né monismo, il concetto a-dualista della Realtà ha stimolato il nostro autore per una concezione più piena e radicale della Trinità. Per Panikkar l’evento cristiano non può essere inteso, come vedremo, né come dualista né come monista, ma solo come trinitario-advaita. Si tratta di qualcosa di nucleare nella sua visione di Dio. Non è solo il tema della Trinità, ma quello della realtà personale di Dio che il nostro autore non nega, ma che interpreta integrandolo in una visione polifonica della Divinità.

 

Raimon Panikkar

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“Scrivere, per me, è vita intellettuale
e anche esperienza spirituale…
mi consente di approfondire il mistero della realtà.”